AL MINISTERO DELLA DIFESA
AL COMANDO GENERALE DELL’ARMA DEI CARABINIERI
Questa Segreteria Generale, constatata la perplessità rappresentata da numerosi iscritti in ordine alla circolare n.760/122-80-39-1973, nella quale si da conto di diversi Militari deferiti alle competenti Autorità Giudiziarie per accesso abusivo allo “SDI” (Banca Dati Interforze) sulla base di presunte condotte che si riassumono in “Interrogazioni”, definite “illecite”, il più delle volte strutturate con i seguenti punti:
1) sul proprio nominativo o famigliari e conoscenti;
2) per conto di terzi in cambio di utilità;
3) su soggetti e persone di evidenza pubblica senza alcuna utilità;
4) sul conto dei propri colleghi e superiori;
ESAMNINATE LE CIRCOLARI EMANATE DAL COMANDO GENERALE DELL’ARMA:
n. 170/122-59-1-1973
n. 1760/122-64-3-1976
n. 1760/122-69-1.1973
n. 1760/122-91-1-1973
n. 1760/122-93-1.1973
n. 1760/122-80-39-1973 del 20 aprile 2019; n. 1760/122-80-48-1973 del 09 agosto 2019; n. 1760/122-99-1-1973 del 03 gennaio 2020.
del 23 ottobre 2006: del 18 maggio 2007; del 20 gennaio 2011; del 06 ottobre 2016; del 04 settembre 2017;
Letta la Legge 121/1981, nonché la sentenza della Corte di Cassazione Penale a Sezioni Unite (ud. 27.10.2011 ) del 07.02.2022 n. 4694, si ritiene che tale enucleazione, pronunciata in tono dogmatico con circolare n. 760/122-80-39-1973, in un report di segnalazioni ricevute dai diversi Comandi Arma che in autonomia hanno proceduto a deferire i loro Militari alle varie Autorità Giudiziarie, così, per come rappresentata e schematizzata, pare poter indurre, magari inconsapevolmente, chi è preposto al controllo ad eseguire valutazioni personali circa la legittimità delle Interrogazioni “SDI” eseguite dai propri dipendenti, non solo “fuori” dai dettami della normativa, ma anche senza basilari principi di diritto.
Le casistiche osservate, infatti, sembrano non fornire dati qualificati, forse perché estranee alle valutazioni di merito delle sentenze, ancorché di primo grado, che sembrano non dare conto della corretta disamina dell’elemento psicologico del reato di cui all’art. 615 ter. C.p.
In proposito, sia la Dottrina che la Giurisprudenza, sembrano ritenere che ai fini della corretta configurabilità di tale delitto, sia sufficiente soltanto il dolo generico, che per l’appunto consiste nella consapevolezza e volontà dell’agente di introdursi o mantenersi all’interno del sistema informatico pur cosciente della determinazione contraria, seppur tacita, del “titolare” del sistema.
In realtà, lo scopo dell’accesso e degli altri elementi posti a corollario, sarebbero da ritenere un punto fermo per poter qualificare l’effettiva natura abusiva dell’accesso nel sistema e, quindi, della reale consapevolezza del dissenso del titolare del sistema.
Nell’ipotesi del mantenimento nel sistema informatico, infatti, è necessario innanzitutto accertare l’esistenza della contraria volontà del titolare, il quale, per espressa previsione dell’Art.615 ter, comma 1 del C.P. può essere anche tacita. Occorre anche che vi sia l’effettiva conoscenza di tale dissenso e dunque la concreta volontà di voler permanere nel sistema con il proprio dominio. Sul punto, appare quindi necessario sottolineare, come il titolare del cd. “potere di dissenso” non si identifica in chi è preposto al controllo (come ad es. un Ufficiale dei Carabinieri), bensì nel Ministero degli Interni a cui dovrebbe essere sottoposto ogni singolo caso, per ottenere una valutazione dei fatti e quindi un “NULLA OSTA” necessario per la formalizzazione della denuncia.
Al fine di evitare “incresciosi” equivoci, sarebbe opportuno (o meglio, necessario) che proprio il Ministero degli Interni indicasse con chiarezza, quale sia l’area delle informazioni o delle attività precluse ai dipendenti, tenendo presente che per i dati sensibili dovrebbero essere specificate anche le condizioni a cui dovrebbero attenersi i dipendenti per accedervi. Tutto ciò per evitare, che anche di fronte a prassi amministrative, come sembra portare avanti l’Arma, siano sottoposte ai rigori della Legge 121/81, cioè senza una corretta valutazione dell’ex art. 43 del Codice Penale, al riguardo della “colpa” nel violare la norma.
Stante ciò, si chiede a codesto Comando Generale, ché vengano svolti i dovuti accertamenti/verifiche specifiche sugli accessi SDI, comprendendo anche il personale preposto ai controlli (comandanti verificatori), affinché si possa prendere cognizione che non siano in atto illecite iniziative a carico del personale dipendente, magari intraprese per fini diversi da quanto consentito dalla Legge 121/81.
Si chiede altresì che venga interessato anche il Ministero degli Interni, titolare e detentore della Banca sati FF.PP., affinché possa valutare ed emanare un’appropriata circolare che possa prevedere il rilascio del citato “NULLA OSTA” ministeriale, affinché si possa procedere giudizialmente nei confronti di chi si renda colpevole di aver assunto una condotta contraria ai doveri di accesso e al mantenimento nel sistema SDI ovvero, in violazione delle condizioni ed i limiti prescritti dalla Legge, che si ricorda, dovrà essere in via esclusiva per ragioni di “tutela dell’Ordine e della Sicurezza Pubblica, ma anche di prevenzione e repressione di reati”.
Proporre ove necessario, allo sbarramento automatico per Codice (C.I.P.) d’Identificazione Personale individuale/Codice Fiscale, qualora l’Operatore di polizia esegua l’accesso alla Banca dati con la volontà di attingere informazioni riguardanti la propria persona o dei familiari conviventi. Si partecipa inoltre che questa UNARMA eseguirà accertamenti sugli esiti processuali dei procedimenti avviati dall’Arma dei Carabinieri nei confronti dei colleghi rei di accessi illegittimi, al fine di verificare le statistiche di raffronto con gli altri Organi di polizia, così da avviare un’analisi di studio – su dati certi – e proporre soluzioni e alternative concrete.
La Segreteria Nazionale