Il 25 novembre di ogni anno ricorre la giornata internazionale contro la violenza sulle donne istituita nel 1999 dall’Assemblea delle Nazioni Unite con lo scopo principale di commemorare e sensibilizzare il mondo intero su un tema così delicato ed una piaga sociale così dilagante: per l’appunto la violenza sulla donna. Nonostante siano trascorsi numerosi anni da quella data e malgrado le innumerevoli iniziative promosse ovunque, ancora oggi il numero delle vittime che indossano le “scarpette rosse” non si ferma. E infatti continuano a ballare sino alla morte tutte quelle donne che, ignare del loro destino, le hanno indossate. È un fenomeno questo così demoniaco che è entrato subdolamente a far parte della quotidianità di noi tutti perché è chiaro che quando una donna viene uccisa ci poniamo tante domande: “se fossi stata io, se fosse stata mia figlia, mia sorella, ecc, al suo posto lo avrei capito? Cosa avrei fatto?”. Ecco che le nostre innumerevoli domande vanno a braccetto con sentimenti di rabbia, tristezza e frustrazione. E sono questi gli stessi sentimenti, forse ancor più emozionanti e devastanti, che colpiscono di più noi, uomini e donne dell’Arma, e tutte le Forze dell’Ordine in genere, quando sotto ai nostri occhi – trattiamo – la violenza sulle donne, sulle vittime più vulnerabili. Eventi questi in cui vorremmo sempre far prevalere quel senso innato di giustizia che ci ha portato a scegliere la nostra vocazione. Ogni qualvolta abbiamo dinanzi a noi una “vittima” di violenza che, esasperata da chi diceva di amarla, entra nel nostro ufficio e si libera, dando sfogo a pianto e sofferenza di tutte le angherie subite, anche noi, diciamoci la verità, ne restiamo basiti dal suo dolore. Quanti di noi, soprattutto le Carabiniere, hanno accolto in un abbraccio donne distrutte piangere sulla nostra uniforme, che indossiamo con tanto orgoglio, ed “inorridire” dall’ascolto. Abbiamo scritto pagine e pagine di racconti di donne vilipese, denigrate, violate nella mente, nel corpo e nell’anima, racconti a volte così dettagliati che rimangono lì, anche nei nostri cuori, per tutti gli anni della nostra vita professionale. La difficolta a mettere su carta i sentimenti della vittima è travolgente! E quante volte, nonostante gli sforzi, abbiamo visto quelle donne ritornare a vivere quella relazione malsana e ad “amare”, in una sorta di gioco-forza di sottomissione ai loro carnefici, sì perché dicevano di essere ancora innamorate: “in fondo mi vuole bene”, o di averne bisogno economicamente e di non poter fare a meno del padre dei loro figli, anche loro vittime, e dentro di noi abbiamo pensato di aver fallito. Beh non è così. È la nostra società che fallisce quando una donna viene brutalmente assassinata, quando le regole non esistono più, quando l’educazione ed il rispetto sono solo parole scritte in un vocabolario, quando l’arroganza, la prepotenza e il sopruso sono sotto i nostri occhi e li accettiamo senza far nulla, quando i valori, quelli puri, veri e sinceri, sono soltanto un lontano ricordo, quando si accettano gli schiaffi, gli insulti, i ricatti.
Noi di UNARMA vogliamo commemorare questa giornata e dedicarla a tutte le vittime, ai loro figli, madri, padri che di quella violenza hanno una ferita sempre aperta, rimanendo consapevoli che il nostro lavoro è fondamentale, ma allo stesso tempo davvero complicato.
Ripudiamo qualsiasi forma di aggressione, sia fisica che psicologica, siamo pronti a sostenere, aiutare, supportare e combattere i Golia che ci si pongono dinanzi, sapendo che l’epilogo di ogni battaglia nasce sempre dalla determinazione con cui la affrontiamo e dall’unione delle Forze comuni.
La vera forza infatti non sta nell’oppressione, ma nel rispetto e nella protezione, sapendo che ogni donna merita di vivere senza paura, libera dalla violenza e piena di dignità.
Roma, 25 novembre 2023
UNARMA