L’inizio del 2023 ha il sapore amaro per migliaia di Carabinieri alle prese con la crescente perdita di potere d’acquisto delle retribuzioni, una emorragia acuita da tutta una serie di rincari inaugurati dal nuovo anno. Alla decisione del Governo Meloni di non rinnovare lo sconto fiscale sui carburanti, si aggiungono, tra gli altri, gli aumenti del 2% dei pedaggi autostradali ed una nuova impennata dei costi energetici di gas ed elettricità.
Per quanto riguarda i carburanti, i prezzi al distributore hanno immediatamente risentito del ritorno dei 18,3 centesimi al litro di accise ed IVA che hanno reso ogni pieno più esoso di circa € 9,00.
Il caro trasporti si scaricherà a valle su tutti i prezzi dei beni che viaggiano su gomma, con l’inevitabile aumento della pressione inflattiva, che nel nostro Paese nel mese di dicembre segna +11,6%.
Le scelte dell’esecutivo appaiono penalizzare pesantemente i lavoratori del comparto difesa e sicurezza, infatti se da un lato in manovra non sono stati stanziati fondi per i rinnovi contrattuali, dall’altro viene dato impulso alla crescita dell’indice dei prezzi al consumo, riducendo ulteriormente la capacità di spesa dei Carabinieri e delle loro famiglie.
Mentre tutti gli indicatori macroeconomici segnalano rischio recessione per il Paese, il Centro Studi Politico-Economico di UNARMA continua a ritenere che bisogna sostenere la domanda (quindi i redditi) per sostenere il settore produttivo nazionale e tutelare migliaia di posti di lavori altrimenti messi a rischio dal calo delle vendite. In tale ottica, sarebbe opportuno introdurre uno strumento che permetta di indicizzare le retribuzioni al tasso di inflazione al fine di tutelare il potere d’acquisto dei lavoratori italiani.
IL RITORNO DELLE ACCISE: RISCHIO CALCOLATO O SACRIFICIO DEI CITTADINI SULL’ALTARE DEL MERCATO?
La scelta del Governo di non rinnovare i benefici derivanti dallo sconto su accise ed IVA sui carburanti è sicuramente la misura che ha fatto più discutere a livello politico, anche alla luce dei programmi elettorali di alcuni partiti di maggioranza che addirittura proponevano la cancellazione di tali imposte.
L’esecutivo, tenendo conto del perimetro imposto dagli stringenti (ed immotivati, visti i deludenti risultati macroeconomici ottenuti negli ultimi decenni) vincoli di bilancio dell’UE, ha preferito non rinunciare ai maggiori introiti per l’erario dovuti alla tassazione sui carburanti, necessari per liberare maggiori risorse in manovra.
Ma quali sono state le considerazioni che hanno determinato le scelte dell’esecutivo? Proviamo a dare una chiave di lettura analizzando l’andamento dei prezzi medi settimanali dei carburanti secondo i dati forniti dal MISE.
Come si evince dal grafico, il costo dei carburanti era in costante calo e si apprestava ad attestarsi sui valori di inizio 2021, ovvero sotto la soglia degli 1,50 €/L, nonostante che già dal 1° dicembre 2022 il Governo aveva ridotto lo sconto sulle imposte dei carburanti; infatti dagli originari meno 30,5 centesimi a litro si era passati a 18,3 centesimi, senza tuttavia che si fossero registrate impennate del prezzo alla pompa.
Quindi evidentemente il Governo, confidando nel trend ribassista e partendo comunque da quotazioni più contenute rispetto a quelle di marzo 2022, ha ritenuto di poter porre termine alle agevolazioni sui carburanti nella convinzione che una impennata dei costi potesse essere rapidamente assorbita dal calo delle quotazioni di mercato.
Le previsioni dell’esecutivo finora però non paiono essere state rispettate, infatti i prezzi finali dei carburanti sono immediatamente cresciuti e non sembrano destinati al momento a scendere. Una quotazione dei carburanti superiore ad 1,80 €/L è difficilmente sopportabile a lungo per una economia già provata come quella italiana dove le retribuzioni sono ferme al palo da 30 anni; qualora i prezzi non dovessero riprendere a scendere il Governo si troverà costretto ad intervenire per riportare i costi su valori più contenuti ed alleggerire così la spinta inflazionistica.