Parallelamente alle operazioni militari in corso sul territorio ucraino, vi è un’altra “guerra” che si sta combattendo sul piano economico, commerciale e finanziario su scala globale. Questo scontro, che non si combatte con le armi e non offre immagini cruente e sanguinose da mostrare sui media, produrrà anch’esso danni e disperazione e colpirà, come ogni conflitto, i più deboli e gli indifesi soprattutto nelle parti più povere del pianeta.
Il 24 febbraio 2022 la Federazione Russa supera i propri confini e dà il via all’invasione dell’Ucraina. Quel giorno, per comprare 1€ ci volevano 97,23 rubli, Roma e Mosca avevano proficue relazioni commerciali (nonostante le sanzioni post Crimea) e l’Italia importava circa il 40% del proprio fabbisogno di gas dalla Russia. Lo scoppio del conflitto ha provocato l’immediata reazione dei mercati ed il 7 marzo per comprare 1€ ci volevano 166,97 rubli, con una svalutazione del 71,5% in appena 12 giorni. A quel punto analisti ed esperti fecero a gara su chi avrebbe indovinato la data esatta in cui Putin avrebbe dichiarato l’inevitabile fallimento. Cavalcando quell’onda emotiva, la maggior parte delle nazioni facenti parte dell’area di influenza della NATO decidevano di avviare un percorso sanzionatorio nei confronti di Mosca, con la convinzione di rendere impossibili le transazioni in rubli e portare in breve tempo il colosso sovietico in default. Finora tuttavia le previsioni occidentali si sono rivelate un flop: alla data del 20 maggio il Cremlino ha rimborsato tutti i titoli in scadenza, ha registrato un surplus commerciale verso l’estero da record grazie all’aumento del prezzo delle materie prime energetiche e per comprare 1€ ci vogliono oggi 62,79 rubli. Nel frattempo l’Italia ha perso il 51% del suo export verso la Russia (fonte Istat), il Governo stanzia dei bonus irrisori per contrastare l’inflazione ed ENI ha aperto i conti in rubli per poter acquistare combustibili.
La dipendenza energetica di molti Paesi UE da Mosca ha reso utopistiche le minacce di immediata rinuncia alle forniture sovietiche, pena la paralisi di interi comparti produttivi, mentre le sanzioni hanno provocato una contrazione delle esportazioni di beni europei; questa situazione ha generato un forte attivo della bilancia dei pagamenti russa (Mosca ha esportato di più rispetto a quanto importato) che sul mercato dei cambi si è tradotto in un vigoroso apprezzamento del rublo rispetto all’euro. Stante l’attuale quadro macroeconomico e vista la necessità europea di stoccare il gas in vista del prossimo inverno, la corsa al rialzo della moneta russa continuerà ancora con la concreta possibilità di scendere sotto la quotazione di 50 EUR/RUB.
Pertanto, come previsto da questo Centro Studi, le azioni intraprese dai Governi europei sono state un boomerang che ne sta danneggiando l’economia.
Gli USA, invece, stanno traendo enormi vantaggi commerciali da questa situazione, avendo sottoscritto con l’UE nuovi contratti per la fornitura di GNL ed avendo ottenuto l’aumento delle spese militari dai componenti della NATO, al quale venderà le armi di propria produzione in un momento, tra l’altro, in cui il dollaro è molto forte nei confronti dell’euro, essendo oggi scambiato ad 1,06.
Anche i Paesi asiatici stanno approfittando della crisi bellica per spostare l’asse economico in proprio favore. La Cina sta artificiosamente svalutando lo yuan tenendo i principali centri produttivi in lockdown, nonostante ci sia corposa letteratura scientifica che ne certifichi l’inutilità relativamente al controllo della diffusione del covid. Questo consente all’impero del dragone di attuare una politica mercantilistica molto aggressiva, deflazionando il mercato interno per favorire le esportazioni. Inoltre Pechino ha sottoscritto contratti con la Russia per la fornitura di materie prime energetiche ed alimentari a costi contenuti, assicurando alle aziende asiatiche una maggiore competitività di prezzo rispetto ai concorrenti europei, sottraendogli importanti fette di mercato.
Se l’Ucraina è stata scelta come terreno di scontro tra superpotenze sul piano militare, l’Unione Europea è stata designata l’agnello sacrificale sul piano economico. Annunci a parte, l’Europa esce ridimensionata dal conflitto, non essendo stata in grado di tutelare i propri interessi ed avendo manifestato la mancanza di visione strategica e coraggio ad imporsi come attore principale negli equilibri geopolitici globali.