Il protrarsi della crisi del settore energetico – le cui cause sono state oggetto di un precedente approfondimento di questo Centro Studi – non solo ha messo a nudo gli errori e la mancanza di visione delle politiche di Italia ed UE degli ultimi decenni, ma l’assenza di azioni decise ed incisive condannerà l’intero continente alla peggiore crisi economica dal dopoguerra.
L’unica proposta su cui i 27 paesi del continente discutono ormai da mesi è relativa all’applicazione di un tetto al prezzo del gas proveniente dalla Russia, con l’obiettivo dichiarato di ridurre i profitti di Mosca che, a seguito delle sanzioni, sono paradossalmente aumentati grazie all’ulteriore crescita dei costi dei combustibili fossili.
Ma l’applicazione del price cap farà diminuire il prezzo delle bollette per i cittadini e le imprese europee? Purtroppo no, anzi sortirà l’effetto opposto. L’imposizione unilaterale di una soglia massima al prezzo del gas determinerà la sospensione delle forniture russe, come tra l’altro ha lasciato intendere Putin nel suo intervento all’Eastern Economic Forum di Vladivostock. Una minore offerta sul mercato UE, a parità di domanda, non solo farà crescere ulteriormente i prezzi dell’energia, ma determinerà anche una scarsità di forniture, che non saranno sufficienti a soddisfare tutto il fabbisogno del continente. Ed è proprio lo spettro di lockdown energetici – con le pesanti ripercussioni economiche e sociali che inevitabilmente ne deriveranno – la ragione per la quale, ad oggi, molti Paesi sono contrari a tale misura e la relativa decisione è stata ulteriormente rinviata.
Aldilà dei messaggi propagandistici, ad oggi i governanti europei non hanno adottato alcun provvedimento per regolamentare il mercato energetico e porlo a riparo dalla spirale speculativa in atto, mentre i continui proclami sulla necessità di rinunciare ai combustibili fossili in tempi brevi ha spinto i relativi produttori a cercare di massimizzare i profitti. Rebus sic stantibus, le famiglie e le imprese europee si troveranno abbandonate nell’affrontare la stagione fredda con l’energia limitata e con bollette dai costi esorbitanti.
L’ARMA AL FREDDO. UNA POSSIBILE SOLUZIONE PER MITIGARE LE CONSEGUENZE DEL RAZIONAMENTO DI ENERGIA NELLE CASERME
Le misure di razionamento e l’aumento delle bollette colpiranno ovviamente anche la Pubblica Amministrazione; non farà eccezione l’Arma dei Carabinieri, che affronterà la stagione fredda in caserme perlopiù di vecchia costruzione e con un bassissimo efficientamento energetico. Con queste premesse, lascia veramente perplessi l’immobilismo dei vertici militari e delle forze di polizia che si apprestano all’autunno lasciando le proprie donne e uomini in divisa in balia degli eventi. Ovviamente il miglioramento energetico degli immobili statali richiedere enormi investimenti e lunghe tempistiche per arrivare all’esecuzione dei lavori; per tale ragione come Centro Studi del sindacato dei Carabinieri UNARMA riteniamo che vi sia una possibile soluzione per mitigare la carenza energetica dei presidi di polizia in tempi brevi. Nello specifico, si potrebbe pensare ad una misura che consenta l’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti delle caserme di proprietà del Demanio da parte di aziende del settore energia, prevedendo la cessione di una parte di quanto prodotto alla PA. Le società interessate, che godrebbero di sgravi fiscali e di una serie di incentivi alla vendita della tipologia già utilizzata nel c.d. “Conto energia” del 2005, avrebbero il vantaggio di effettuare un investimento remunerativo con un rapido rientro dei capitali impegnati, mentre lo Stato si assicurerebbe la fornitura gratuita di energia elettrica.
Nella consapevolezza che la misura indicata sia un mero palliativo per attenuare le conseguenze della crisi energetica, questo sindacato auspica che, traendo insegnamento dagli errori del passato, venga intrapresa una campagna di efficientamento energetico del patrimonio immobiliare in uso all’Arma dei Carabinieri ricorrendo all’impiego dei fondi del PNRR.