+39 06 622 80 320 [email protected]

IL RINNOVO DEL CONTRATTO DEI LAVORATORI STATALI E LA FOGLIA DI FICO DELL’UNA TANTUM

da | 1 Febbraio 2023 | CENTRO STUDI POLITICO ECONOMICA

La Legge di Bilancio 2023, in materia di rinnovi contrattuali del personale non dirigente della Pubblica Amministrazione, ha previsto la dotazione di 1 miliardo di euro <<da destinare all’erogazione, nel solo anno 2023, di un emolumento accessorio una tantum, da corrispondere per tredici mensilità, da determinarsi nella misura dell’1,5 per cento dello stipendio con effetti ai soli fini del trattamento di quiescenza>>. Essendo tale importo corrisposto una tantum per il solo anno corrente, esso non rientrerà strutturalmente nella retribuzione, fissa e/o accessoria, del personale non dirigente dell’Arma dei Carabinieri, il quale potrà contare per i rinnovi contrattuali del triennio 2022-2024 delle sole risorse stanziate con la Legge 234/2021 che per il 2023 consta di 500 milioni di euro, da suddividere tra tutti i lavoratori statali.

Peraltro, se le intenzioni dell’esecutivo erano quelle di proteggere il potere d’acquisto dei lavoratori del comparto pubblico per l’anno in corso, possiamo tranquillamente affermare che la misura è largamente insufficiente visto che l’inflazione registrata a dicembre segna +11,8% su base annua, insomma un provvedimento dalla natura prettamente cosmetica che, tra l’altro, non risulta neanche elargito con gli stipendi del mese di gennaio.

LA REMUNERAZIONE DEI DIPENDENTI DELLA P.A. IN UE.
AAA CONVERGENZA RETRIBUTIVA CERCASI

Per avere un metro di valutazione su quale sia il livello retributivo degli statali italiani, abbiamo analizzato la remunerazione media dei dipendenti pubblici dell’Unione Europea, secondo i dati forniti da Eurostat riferiti al 2022.

L’indicatore utilizzato dall’ufficio di statistica europeo è espresso in termini reali ovvero armonizzato con l’indice dei prezzi al consumo e quindi rappresenta la quantità di beni e servizi che il lavoratore può acquistare sul mercato con il salario nominale percepito.  

Il quadro che emerge è abbastanza emblematico delle divergenze retributive continentali che sono ben lontane dall’essere appianate; le dinamiche in atto sembrano invece suggerire che le politiche economiche dell’UE stiano favorendo la disuguaglianza dei cittadini dei diversi Stati membri.

L’Italia con una retribuzione media mensile di € 1.953 si piazza al 15° posto tra i 27 Paesi dell’Unione Europea, non esattamente un risultato esaltante considerando che il Belpaese ha il 3° PIL comunitario. Gli statali italiani guadagnano circa € 1.100 in meno della media europea (€ 3.024) ed addirittura percepiscono uno stipendio inferiore di € 4.100 rispetto ai colleghi del Lussemburgo che sono i più remunerati (€ 6.057).

Un divario enorme, sicuramente acuito dal blocco dei rinnovi contrattuali che fu disposto con il D.L. 78/2010 e che inaugurò una stagione di mancati adeguamenti salariali protrattasi per quasi 10 anni; il livello delle retribuzioni certifica la scarsa considerazione che i Governi che si sono succeduti hanno avuto nei riguardi dei propri dipendenti pubblici, categoria ingiustamente percepita dall’opinione pubblica come eccessivamente tutelata dal punto di vista economico.

IL DIVARIO CON I COLLEGHI EUROPEI,
UN GAP DESTINATO AD ALLARGARSI

Il mancato stanziamento da parte del Governo Meloni di risorse per i rinnovi contrattuali della PA, finirà per ampliare il divario di potere d’acquisto tra i lavoratori italiani ed i loro colleghi dell’UE. Analizzando infatti i tassi di inflazione dei 5 principali Paesi UE nei 12 mesi del 2022 (fonte Eurostat), notiamo un diverso andamento dell’indice dei prezzi al consumo che influiscono ovviamente sul potere d’acquisto delle famiglie di ciascun Stato.

L’Italia, che nel mese di dicembre presenta il tasso di inflazione più alto dei Paesi presi in esame, ha registrato una crescita costante e sostenuta dei prezzi per tutto l’anno, con una lieve flessione (-0,3%) nell’ultimo mese. L’indice dei prezzi al consumo a fine anno è stato superiore del 3% della media dell’area euro (verde) ed addirittura di 6,8 punti percentuali rispetto alla Spagna (rossa).

Mentre gli altri Stati hanno reagito prima e con più decisione nel contrastare la spinta inflazionistica, favorendo un miglioramento della qualità della vita dei propri cittadini, il nostro Paese sembra ancora lontano da intraprendere un percorso di normalizzazione dei prezzi, anche considerando che il ritorno delle accise sui carburanti determinerà un aumento del costo dei beni che viaggiano su gomma.

LA BCE E LA STABILITA’ DEI PREZZI,
STORIA DI UN OBIETTIVO RIPETUTAMENTE MANCATO

Nell’organizzazione dell’Unione Europea la Banca Centrale è l’Istituto che si occupa della politica monetaria, ed ha tra i principali obiettivi il mantenimento della stabilità dei prezzi attraverso il controllo dell’inflazione, risultato che si ritiene raggiunto garantendo un tasso pari al 2% nel medio periodo.

Se dovessimo giudicare l’operato della BCE secondo l’andamento dell’indice dei prezzi al consumo, la valutazione non potrebbe che essere negativa.

Se si esclude infatti il periodo che va dal 2000 al 2007, il tasso di inflazione dell’eurozona è stato sempre ben lontano dal valore medio del 2%: esclusi quindi Duisenberg (1998-2003) ed in parte Trichet (2003-2011), è evidente che la BCE sotto la guida di Draghi (2011-2019) e della Lagarde non ha raggiunto l’obiettivo primario richiesto.

Il fallimento delle politiche monetarie della BCE dovrebbe indurre gli Stati membri ad una profonda riflessione sulla struttura ed i compiti affidati all’Istituto di Francoforte che si è dimostrato inefficace e poco reattivo nel fronteggiare i mutamenti macroeconomici globali.